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Malattia Professionale

Malattia professionale
23 Maggio 2022
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Tempo di lettura 11 minuti

Che Cos’è la Malattia Professionale?

La malattia professionale è uno stato patologico del soggetto, determinata da causa lenta e contratto nell’esercizio e a causa, nesso di causalità diretto, di un’attività lavorativa che ha scatenato la patologia, che può esserne causa esclusiva o concorrente.

Sono definite malattie professionali quelle causate o concausate dal lavoro per l’azione di agenti nocivi di natura fisica, chimica o biologica.

Non è richiesto un periodo minimo di occupazione nell’attività che ha causato la malattia. L’impetuoso sviluppo delle innovazioni tecnologiche del sistema produttivo provoca sempre nuovi fattori di rischio per i lavoratori. Da qui l’esigenza che gli elenchi delle malattie professionali tipiche siano aggiornati con adeguata frequenza.

La presunzione d’origine

Nel sistema tabellare della malattia professionale c’è l’aspetto negativo della rigidità, ma nel contempo un elemento di grande chiarezza ai fini dell’indennizzabilità per la malattia professionale: la presunzione d’origine.

Se il lavoratore ha contratto la malattia professionale in una delle lavorazioni tassativamente indicate nelle tabelle, quella malattia è, fino a prova contraria, “professionale” e, come tale, indennizzabile. Quindi il nesso di causalità è presunto.

Il lavoratore deve provare l’esposizione al rischio

In caso di contestazione della malattia professionale, la prova dello svolgimento di una specifica attività ricompresa nella previsione normativa ricade inevitabilmente sull’assicurato che chiede la prestazione. Infatti, l’inversione dell’onere della prova in favore del lavoratore colpito da malattia professionale concerne soltanto il momento, logicamente successivo, dell’esistenza di un rapporto di causalità tra lo svolgimento dell’attività pericolosa e l’insorgenza della malattia professionale. E’ quanto ha puntualizzato la cassazione nelle sentenze nn. 6678 e 24631/2009.

L’atteggiamento dell’Inail

Con la nota n. 7876/2006 l’Inail detta nuovi criteri per l’accertamento dell’origine professionale delle nuove malattie: neoplasie, malattie croniche degenerative, ecc.

Quando non è possibile riscontrare con certezza le condizioni di lavoro esistenti all’epoca dell’esposizione a rischio, la presenza nell’ambiente lavorativo di fattori di nocività va desunta, spiega l’Inail, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti e dalla durata della prestazione lavorativa.

Una volta accertata la nocività dell’esposizione a rischio, si deve valutare l’esistenza del nesso di causalità tra i fattori di rischio e la patologia denunciata come malattia professionale. L’impossibilità di raggiungere con assoluta certezza scientifica la sussistenza di tale nesso, precisa l’Inail, non è motivo sufficiente ad escludere il riconoscimento, perché secondo la giurisprudenza è sufficiente la “ragionevole certezza” della genesi professionale della malattia che consiste in semplici presunzioni desunte da ipotesi tecniche possibili teoricamente, ma è sussistente in presenza di un elevato grado di probabilità dell’eziopatogenesi professionale desumibile, tra l’altro, dalla letteratura scientifica.

Concausa

Una volta che viene accertata l’esistenza della concausa lavorativa l’indennizzabilità della malattia professionale non potrà essere negata sulla base di una valutazione di prevalenza qualitativa o quantitativa delle concause extralavorative.

Consulenza tecnica d’ufficio

L’assicurato che denuncia una malattia professionale non tabellata deve provare sia l’esposizione a rischio, e quindi le mansioni svolte, il che costituisce oggetto di prova testimoniale, sia la causalità adeguata dell’agente patogeno dedotto; peraltro, poiché la dimostrazione che l’agente patogeno indicato ha causato la malattia non tabellata, può essere raggiunta solo attraverso una valutazione tecnica, è sufficiente che il ricorrente solleciti il giudice a disporre consulenza tecnica d’ufficio.

Non indispensabile la consulenza tecnico ambientale

Non è indispensabile l’espletamento di una consulenza tecnico-ambientale, ha stabilito la cassazione con la sentenza n. 2716/2003, quando la natura patologica della malattia professionale, essendone difficoltosa o impossibile una puntuale ricostruzione, possa essere desunta, con elevato grado di probabilità, dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari presenti nell’ambiente di lavoro, dalla durata della prestazione lavorativa e dall’assenza di altri fattori, indipendenti dall’attività di lavoro, che possono costituire causa della patologia.

Malattia professionale: La denuncia

La denuncia di malattia professionale deve essere effettuata da parte del datore di lavoro entro i 5 giorni successivi a quello nel quale è stato informato dal lavoratore. Da parte di quest’ultimo, la denuncia al datore di lavoro va fatta nel termine di 15 giorni, a pena di decadenza del diritto all’indennizzo per il tempo antecedente alla denuncia. Stessa procedura per gli Oti agricoli. Per il restante settore agricolo (Otd e coltivatori), l’ammalato deve effettuare tale denuncia, sempre nel termine di 15 giorni, al medico, che entro 10 giorni ne dovrà informare l’ente.

Certificato inviato su richiesta Inail

Sulla base del Dm 30/7/2010, qualora il datore di lavoro effettui la denuncia di malattia professionale per via telematica, il certificato medico deve essere inviato solo su espressa richiesta dell’Inail, nelle ipotesi in cui tale certificato non sia stato direttamente inviato dal lavoratore o dal medico certificatore.

Obbligo denuncia del medico

Il Dm 14/1/2008 ha aggiornato l’elenco delle malattie professionali che il medico è tenuto a denunciare all’Inail. Le malattie professionali sono distinte in tre classi in base alla probabilità dell’origine lavorativa: 

  • Elevata probabilità;
  • Limitata probabilità;
  • Possibilità.

Quest’ultimo elenco, patologie a possibile eziologia lavorativa, contempla tre tipologie di malattie:

  • Malattie da agenti chimici (fibre ceramiche, silice);
  • Malattie da agenti fisici (rumore, ecc.)
  • Tumori professionali (cloruro di vinile, fumo passivo, ecc.)

La denuncia deve essere fatta alla Dpl competente per territorio, la quale deve poi provvedere a trasmettere una copia all’ufficio medico provinciale.

I medici contravventori all’obbligo di denuncia sono puniti con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda da euro 258,00 a euro 1.032,00. Più pesante è la pena se la contravvenzione è commessa dal medico di fabbrica.

Malattia professionale diversa da quella denunciata

Se una lavoratore ha fatto richiesta per una determinata malattia professionale e, in sede di procedura amministrativa o giudiziaria, è risultato affetto da malattia professionale qualificabile sotto altra definizione formale, conserva ugualmente il diritto all’indennizzo, senza bisogno di riproporre una nuova domanda. La sintomatologia deve essere naturalmente rispondente e la nuova malattia riconducibile alle medesime mansioni lavorative.

Malattia professionale non automatica

Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un’infermità o di una lesione non coincide con il presupposto richiesto per l’attribuzione della rendita per malattia professionale, differenziandosi i due istituti per l’ambito e l’intensità del rapporto causale tra l’attività lavorativa ed evento protetto, nonché per il fatto che il riconoscimento in oggetto non consente di per sé alcun apprezzamento in ordine all’eventuale incidenza, sull’attitudine al lavoro dell’assicurato, di altri fattori di natura extraprofessionale. Lo ha ribadito la Cassazione nella sentenza n. 12558/2011.

Malattia professionale aggravata dopo i termini di revisione

Gli artt. 80 e 131, Dpr n. 1124/1965, riferendosi all’ipotesi di “nuova” malattia professionale, devono essere interpretati nel senso che essi riguardano anche il caso in cui, dopo la costituzione di una rendita per una determinata malattia professionale, il protrarsi dell’esposizione al medesimo rischio patogeno determini una “nuova” inabilità che risulti superiore a quella già riconosciuta.

La corte costituzionale con la sentenza n. 46/2010 ha risolto secondo buon senso l’ipotesi in cui un lavoratore, dopo la scadenza del quindicennio dalla costituzione della rendita, ha avuto un aggravamento dell’inabilità conseguente all’ipoacusia professionale, continuando, successivamente alla costituzione della rendita, a essere esposto al medesimo rischio professionale da rumore. Sulla stessa linea la sentenza della Cassazione n. 5550/2011.

L’Inail con la circ. n. 5/2014 ha confermato che il peggioramento della malattia avvenuto dopo 15 anni è una nuova malattia professionale.

Il tumore come malattia professionale

Nell’ipotesi di malattia professionale ad eziologia multifattoriale – qual è il tumore – il nesso di causalità non può essere oggetto di semplici presunzioni tratte da ipotesi tecniche teoricamente possibili, ma necessita di una concreta e specifica dimostrazione. Questa dimostrazione può essere data anche in via di probabilità, ma condizionata al riscontro di “ulteriori” elementi, idonei a far tradurre in certezza giudiziale le conclusioni probabilistiche del consulente. Lo stabilisce la Cassazione con le sentenze nn. 9277/1995, 27838/2005 e 1870/2010.

Malattia professionale: Neoplasia polmonare

In base a questi principi la Cassazione, con la sentenza n. 3602/1998, ha riconosciuto la natura professionale del tumore polmonare da cui era risultato affetto un lavoratore, sofferente di broncopneumopatia professionale, il quale aveva assunto nel corso di molti anni notevoli quantità di sostanze nocive provviste, secondo le attuali conoscenze in materia, anche di potenzialità cancerogene. Con la sentenza n. 9057/2004, in presenza di una neoplasia polmonare, la stessa corte ha riscontrato l’esistenza di un vizio nella motivazione della sentenza di merito con la quale non era stata tenuta nella giusta considerazione la localizzazione del tumore nella zone ove vi è maggiore deposizione delle fibre di asbeto, noto per gli effetti cancerogeni.

Malattia professionale: Da radiazioni ionizzanti

L’accertamento che la malattia – la cui manifestazione si sia verificata entro il periodo massimo di indennizzabilità – sia derivata da una lavorazione tabellata (come il tumore polmonare da radiazioni ionizzanti, laser, onde elettromagnetiche e loro conseguenze), comporta l’applicabilità della presunzione del nesso di causalità tra la patologia sofferta dall’assicurato e l’attività lavorativa, con il conseguente onere per l’Inail di provare una diversa eziologia della malattia professionale stessa. Lo ha stabilito la cassazione con la sentenza n. 15051/2007.

Malattia professionale: Carcinoma mammario

Lo stesso aveva deciso la cassazione nella sentenza n. 8002/2006 riguardo a un carcinoma mammario, accertato come rientrante nella voce 51 della tabella, relativa a malattie causate da radiazioni ionizzanti, laser, onde elettromagnetiche e loro conseguenze.

Malattia professionale: Carcinoma laringo-faringeo

In caso di morte di un lavoratore per carcinoma laringo-faringeo causato dalla esposizione professionale a esalazioni di bitume caldo in concorso con il fumo di tabacco e l’assunzione di alcol, risponde del delitto di omicidio colposo il datore di lavoro che abbia omesso di adottare provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali atti a contenere l’esposizione alle predette sostanze e di curare la fornitura e l’effettivo impiego di idonei mezzi personali di protezione. E’ quanto ha stabilito la cassazione con la sentenza n. 13855/2009.

Malattia professionale: Tumore della pelle in lavoratore agricolo

Il requisito della inabilità permanente totale o parziale, che condiziona l’insorgenza del diritto alle prestazioni assicurative, non presuppone la sussistenza di una malattia in atto, ma deve intendersi la conseguenza invalidante di un infortunio o di una malattia professionale. In base a questa considerazione la cassazione, con la sentenza n. 10753/200, ha riconosciuto l’indennizzabilità di un tumore recidivante della pelle, con pericolo di metastasi, in un lavoratore agricolo generico esposto alla luce solare, avendo ritenuto irrilevante, ai fini del riconoscimento della tutela assicurativa che la patologia si trovasse, al momento dell’accertamento medico, in una fase non acuta.

Malattia professionale: Sordità da rumori

L’ipoacusia da rumore (tecnoacusia) è una riduzione della capacità uditiva tale da compromettere la percezione della voce di conversazione, provocata dall’esposizione prolungata a rumori di intensità elevata. Il danno provocato sull’organo dell’udito è irreversibile e si aggrava progressivamente se viene mantenuta l’esposizione alla sorgente rumorosa. Al contrario, l’allontanamento dall’esposizione al trama acustico cronico solitamente arresta la progressione del danno uditivo, ad eccezione di un lieve peggioramento che potrebbe verificarsi nelle prime settimane dopo la cessazione del lavoro a rischio. La cassazione ha affermato più volte anche un diverso principio. In età avanzata può sovrapporsi una presbiacusia.

La sordità da rumore è la malattia professionale più diffusa. Per la crescente meccanizzazione del lavoro, l’inquinamento da rumore interessa, infatti molte attività produttive.

Malattia professionale: Silicosi e Asbetosi

Patologia presente tra cavatori e minatori già nell’antichità. Se ne trovano riferimenti nella letteratura Greco-Romana. La prima trattazione sistematica è del 1700, merito di Bernardino Ramazzini. Il termine silicosi venne poi coniato dal medico Italiano Rovida.

L’assicurazione venne resa obbligatoria in Italia nel 1943, con la L. n. 455/1943. La silicosi è una malattia professionale molto diffusa. Basti pensare che la silice costituisce circa il 12% in peso della crosta terrestre e che non esiste forma di silice che non sia nociva per l’organismo umano: tutte provocano delle pneumoconiosi. 

Le lavorazioni che espongono al rischio di silicosi sono numerose; fra esse le più importanti sono: le industrie estrattive (miniere e cave), metallurgiche, nella fabbricazione di laterizi, mattoni refrattari, vetro, smalti, cementi, calci idrauliche, l’industria ceramica, la lavorazione di sabbie, ghiaie e rocce, e molti lavori nell’edilizia. 

Le lesioni polmonari, provocate delle particelle di silice inalate, sono irreversibili e tendono ad evolvere, più o meno lentamente, verso una degenerazione del tessuto polmonare. La conseguenza di queste alterazioni anatomiche del polmone è una progressiva riduzione della capacità funzionale dell’apparato respiratorio con la comparsa dell’insufficienza respiratoria e del danno successivo all’apparato cardiocircolatorio. Questo progressivo aggravamento della funzione respiratoria è indipendente dall’esposizione lavorativa e si può manifestare dopo molti anni dalla cessazione del lavoro.

Amianto

L’amianto, detto anche asbeto, è il nome generico – che in Greco significa “incorruttibile, inestinguibile – di una serie di materiali fibrosi naturali assai diffusi in natura. Le tipologie più comuni sono il crisotilo (amianto bianco) – che rappresenta il 95% della produzione totale di amianto -, la crocidolite (amianto blu) e l’amosite (amianto bruno): esistono inoltre l’actinolite, l’antofillite e la tremolite d’amianto.

Nel settore edile (il 75% dell’amianto utilizzato in Italia è stato impiegato in tale settore) l’amianto è stato largamente utilizzato per la produzione di lastre ondulate in pasta di cemento, conosciute come cemento amianto. L’amianto veniva altresì utilizzato nella produzione di tubazioni per acquedotti e fogne, come isolante termico nelle carrozze ferroviarie, e nelle autovetture (pastiglie dei freni, frizione).

La L. n 257/1992 ne ha proibito l’utilizzazione.

Oltre all’asbetosi, un gran numero di malattie è collegato alle fibre aereodisperse nei luoghi dove si utilizza, si trasforma o si smaltisce amianto (quali la fibrosi polmonare e pleurica, il cancro del polmone, della pleura e del peritoneo e il mesotelioma peritoneale). Il mesotelioma che venne descritto per la prima volta nel 1908 (Adami) ha una latenza molto lunga, notevolmente più lunga di quella dell’asbetosi (può giungere anche a 40 anni).

Le patologie derivanti dall’esposizione all’amianto rientrano nelle tabelle della malattia professionale.

Malattia professionale: Broncopneumopatie

Le broncopneumopatie professionali sono causate dall’inalazione di sostanze presenti nell’ambiente di lavoro, che provocano una reazione di tipo allergico nel soggetto. Gli effetti nocivi possono essere provocati anche da azione batterica micotica oppure da azione meccanica delle particelle. Sono rappresentate, principalmente, dall’asma bronchiale allergica e dall’alveolite allergica.

L’asma allergica può essere provocata da vari allergeni, fra cui le polveri di fieno e di cereali, il pelo e la forfora animali, la farina di grano e i parassiti in essa contenuti, i composti chimici organici e inorganici. La malattia si manifesta con la comparsa di crisi asmatiche inizialmente nell’ambito del lavoro; successivamente il soggetto può entrare nella fase di asma cronica, cioè gli accessi asmatici compaiono anche al di fuori dell’ambiente di lavoro e la malattia può evolvere verso l’enfisema polmonare cronico con un aggravamento progressivo della funzione respiratoria.

Le alveoliti allergiche sono provocate, più frequentemente, da polveri di fieno ammuffito, escrementi di uccelli, polveri di sughero e molte altre polveri organiche. Come nell’asma allergica si ha un’evoluzione progressiva della malattia verso una riduzione della capacità funzionale dell’apparato respiratorio.

Nei lavoratori agricoli sono frequenti le broncopneumopatie provocate dagli allergeni vegetali presenti nel settore e anche da sostanze che agiscono come meccanismo irritativo chimico.

La provata esposizione ai fattori patogeni specificati nelle tabelle comporta una presunzione di malattia professionale. La cassazione, con la sentenza n. 10980/1991, ha stabilito che l’indagine sull’origine della malattia va condotta anche in relazione ai fattori di rischio diversi da quelli considerati dalla previsione normativa predetta e propri del tipo di attività svolta, tenendo conto anche di quelle situazioni di dannosità (esposizioni ad intemperie, sbalzi di temperatura, ecc.) che, seppure ricorrenti anche per altre attività umane non riconducibili a quella lavorativa (rischio generico), rientrano però nel rischio specifico dell’agricoltura, in considerazione della maggiore frequenza di interventi di lavoro.

Le dermatosi professionali

Le dermatosi allergiche da contatto con agenti sensibilizzanti presenti nell’ambiente di lavoro solo raramente comportano la costituzione di una rendita per malattia professionale.

Infatti, si è solitamente ritenuto che i singoli episodi di una dermatosi allergica diano luogo, essendo suscettibili di remissione, unicamente ad invalidità temporanea e che, solo quando la dermatosi allergica sfoci in una manifestazione patologica cronica indipendente dal contatto con l’agente nocivo, essa dia luogo ad un’invalidità permanente. Inoltre, anche quando si ammette che lo stato di sensibilizzazione possa considerarsi alterazione a carattere definitivo, esso determinerebbe – secondo le argomentazioni di solito portate – una riduzione della capacità lavorativa specifica dell’assicurato e non generica.

Nell’infortunistica, è noto, viene invece indennizzata solo l’inabilità generica.

Il saturnismo

Il saturnismo è l’intossicazione cronica da piombo che si manifesta principalmente con disturbi digestivi, nervosi e renali.

E’ una malattia professionale gravemente invalidante che colpisce gli operai che lavorano o trattano tale metallo o suoi composti, come verniciatori, vetrai, tipografi, occupati in colorifici, ecc.

La cassazione con due sentenze le nn. 3699/1987 e 4426/1987, ha riconosciuto l’indennizzabilità – con il diritto all’indennità temporanea assoluta – anche per gli stati di impregnazione, nell’ipotesi in cui per il lavoratore si riscontri un’alterazione degli indici relativi al tasso di piombo nell’organismo in misura tale che, pur non raggiungendo la soglia del saturnismo, si presentino di gravità tale da determinare l’allontanamento del lavoratore dallo specifico lavoro al fine di normalizzare tali indici.

Malattia professionale da vibrazioni

Il rischio di vibrazioni è presente in molte attività lavorative quali la guida di mezzi da trasporto, l’utilizzo di macchine industriali, l’impiego di utensili o strumenti individuali ad elettricità o ad aria compressa animati da movimenti percussori.

Esse possono trasmettersi, per contatto, all’uomo, il quale può riceverne gli effetti solo in taluni distretti oppure nella sua totalità.

L’angioneurosi

L’angioneurosi da strumenti vibranti è una tecnopatia causata dall’impiego di una serie di utensili meccanici azionati da elettricità o aria compressa.

Nel caso in cui l’esposizione a vibrazioni sia di durata sufficientemente prolungata compare il cosiddetto “fenomeno di Raynaud” alle dita delle mani. Se il lavoro vibratorio viene continuato, la malattia si aggrava progressivamente con comparsa del quadro clinico anche al di fuori delle occasioni di lavoro e ad ogni esposizione a basse temperature. Quando l’esposizione alle vibrazioni viene interrotta, l’evoluzione della malattia cessa, ma raramente è possibile assistere ad una guarigione totale della forma morbosa.

Malattia professionale da posture incongrue e micro-traumi ripetuti

Queste comprendono le artropatie, la sindrome del tunnel carpale, l’epicondilite, la sindrome di De Quervain, le borsiti prerotulee. Secondo l’Inail la denuncia di una di queste patologie come malattia professionale può essere ritenuta corredata di adeguata documentazione probatoria del rischio professionale quanto contenga:

  • Per le artrosi vertebrali, le discoartrosi e artrosi articolarti: evidenziazione di un lungo periodo di attività lavorativa come trattoristi, gruisti, addetti alle macchine movimento terra, elicotteristi; insorgenza di manifestazioni morbose dotate di un’intensità e precocità di espressione clinica maggiore rispetto alla popolazione normale per sesso ed età; esame radiografico . delle articolazioni interessate; visita ortopedica e visita neurologica;
  • Sindrome del tunnel carpale: evidenziazione di un lungo periodo di attività lavorativa come orlatrice, cucitrice, addetto ai settori tessili e calzaturiero che comportano un’ipersollecitazione funzionale del polso; esame radiografico delle zone interessate; elettrocardiogramma e visita neurologica;
  • Epicondilite: si deve evidenziare un lungo periodi di attività lavorativa che comporti abitualmente la forte stretta . della mano associata a movimenti forzati di pronosupinazione o flesso-estensione dell’avanbraccio; esame radiografico della zona interessata e visita ortopedica;
  • Sindrome di De Quervain: si deve evidenziare un lungo periodo di lavoro che abbia comportato uno sforzo muscolare continuo e localizzato ed eventuali esami di laboratorio con visita ortopedica;
  • Borsite prerotulea: interessa i lavoratori che svolgono attività che comportano un’abituale posizione inginocchiata, come ad esempio i piastrellisti, pavimentisti, i parchettisti ed i lucidatori.

Il mobbing

La parola deriva dall’inglese “to mob” (attaccare, assalire) ed è mutata dall’etologia, nell’ambito della quale designa il comportamento di alcune specie animali, solite circondare minacciosamente un membro del gruppo, al fine di allontanarlo.

Con l’espressione mobbing si intende una successione di fatti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro con intento emulativo ed al solo scopo di recare danno al lavoratore, rendendone penosa la prestazione.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 179/1988, ha stabilito che devono essere ammesse all’indennizzo della malattia professionale tutte le patologie di cui sia dimostrata la causa lavorativa. L’Inail, con la circ. 71/2003, riconosce che la nozione di causa lavorativa consente di ricomprendere non solo la nocività delle lavorazioni in cui si sviluppa il ciclo produttivo aziendale ma anche quella riconducibile all’organizzazione aziendale delle attività lavorative.

i disturbi psichici quindi possono essere considerati di origine professionale se sono causati, o concausati in modo prevalente, da specifiche e particolari condizioni dell’attività o dell’organizzazione del lavoro.

Si ritiene che tali condizioni ricorrano esclusivamente in presenza di situazioni di incongruenza delle scelte in ambito organizzativo, situazioni definibili con l’espressione “costrittività organizzativa.

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